Orte Sotterranea
- Stefano, Matteo, Michele, Leonardo, Lorenzo
- 9 giu
- Tempo di lettura: 10 min
Aggiornamento: 10 giu
Contesto geografico, geologico e storico
Il territorio di Orte è attraversato dalla valle del Tevere e dai suoi affluenti che hanno profondamente inciso gli strati vulcanici ed i sottostanti strati sedimentari creando un paesaggio unico e suggestivo.
Le prime testimonianze archeologiche del territorio di Orte risalgono al Paleolitico ed al Neolitico. I ritrovamenti documentano l'occupazione del territorio anche nell’Età del bronzo e del Ferro a cui appartengono tracce della cultura villanoviana. Il periodo etrusco è testimoniato da insediamenti fortificati e necropoli come quelle di Le Piane e San Bernardino, da cui provengono numerosi reperti.
Nel IV sec. a.C. Roma conquista Orte, rendendola poi municipium. Sotto Augusto la città diventa un centro strategico e commerciale. Nel medioevo, dominazioni e Cristianesimo la trasformano con chiese e mura.
Passano i secoli e la costruzione della ferrovia, nella seconda metà del XIX secolo, determina un grande periodo di rinnovamento e sviluppo che porterà alla rinascita di Orte.
Le testimonianze ipogee di cui parleremo sono state scavate nella rupe tufacea su cui si trova il centro storico di Orte. Gli ambienti, i pozzi ed i cunicoli sono stati esplorati dagli speleologi e dagli archeologici che hanno realizzato la documentazione grafica e fotografica che ci ha permesso di conoscere Orte sotterranea. (S. I., M. Ro., M. Ru., L. S., L. V.)
Rete idraulica ipogea e ninfeo
Rete idraulica ipogea: principi di funzionamento, diramazioni ed elementi di particolare interesse storico-archeologico.
Nel 1991, durante i lavori per il risanamento idrico-sanitario della rupe di Orte, sono stati intercettati alcuni cunicoli scavati nel sottosuolo. La rete ipogea di cunicoli è stata esplorata per circa mille metri e, interamente scavata nel tufo, risulta condizionata dalla morfologia del colle. La realizzazione di una rete idraulica ipogea ha alla base scelte progettuali e strategie di lavoro ben definite. L’idea del lavoro nel sottosuolo ortano prevedeva un percorso il più rettilineo possibile ai condotti evitando balzi di quota e per un corretto scorrimento delle acque si è scelta la tecnica di funzionamento dei vasi comunicanti che permette di condurre acqua in pozzi e cisterne sfruttando una sorgente collegata mediante la rete cunicolare. L’escavazione del condotto principale è stata realizzata da due differenti gruppi di operai che hanno utilizzato due punti di partenza diversi diretti verso un’unica giunta, creando il cosiddetto “ovulo delle tracce” e gli errori di quota sono stati risolti con l’abbassamento del fondo del piano più alto. Durante il lavoro sono stati realizzati numerosi pozzi di luce, aperture quadrate o rettangolari, che mettevano in comunicazione l’interno del condotto con la superficie del pianoro per smaltire il materiale cavato, areare il condotto e illuminare le operazioni di scavo. L’unico tratto dove non furono realizzati è tra Via della Rocca e l’ipogeo del Vascellaro. La rete idraulica è stata ricavata dallo scavo del tufo, classificato tra le “rocce tenere”, lunga 1800 metri che attraversa tutta la rupe. In origine era costituita da un insieme di cunicoli indipendenti, successivamente da un sistema idrico articolato, al quale sono collegati i tre pozzi di luce rettangolari, chiusi da lastroni in tufo. A partire dall’età romana, la rete idraulica è stata sostituita da un acquedotto alimentato da sorgenti esterne rimasto in uso fino all’età alto-medievale. Durante il medioevo furono realizzati interventi di restauro e consolidamento dell’acquedotto fino alla costruzione nella metà del XV secolo di un nuovo acquedotto ad archi. Il cunicolo principale è la struttura portante della rete idraulica, attraversa la rupe da ovest a est per circa quattrocento metri, ha un andamento sinuoso e nonostante le varie modifiche conserva ancora alcune parti del primo impianto idraulico risalente forse all’epoca etrusca. L’ingresso è attualmente situato nell’area della rocca e proseguendo si incontra una volta “a cappuccina” di lastre di tufo, all’altezza della quale si incontra a destra un cunicolo, “un tappo pieno” chiuso da una muratura recente. Il cunicolo è facilmente percorribile, ci si trova in corrispondenza della Via della Rocca e le tracce di scavo evidenziano un andamento che corrisponde sempre al verso di deflusso delle acque. Dopo un lungo tratto rettilineo si incontrano due differenti direzioni delle tracce di scavo, probabilmente punto di incontro di due gruppi di scavatori e il cosiddetto ovulo delle tracce. Proseguendo si incontra l’abbassamento della volta del condotto, il percorso principale prosegue in prossimità dell’ipogeo del Vascellaro, seguendo un tratto sinuoso. Sulla destra, dopo l’uscita dell’ipogeo è presente una cisterna a pianta ovale, e dopo tredici metri si vede un’apertura quadrata sul tetto da cui si esce su una cantina privata in Via Gramsci. Il cunicolo procede in rettilineo fino ad incontrare una diramazione che introduce nella stalla settecentesca di proprietà della contrada San Sebastiano con annessa cisterna. In corrispondenza di questo si nota un cunicolo preesistente tagliato e defunzionalizzato dal condotto principale. Da qui il percorso continua ad essere rettilineo alternato da tratti sinuosi fino ad incontrare una risega che evidenzia il piano di calpestio originario di questo tratto del condotto. Proseguendo nel percorso si apre un pozzo di luce molto danneggiato sulla parete destra con apertura “a cappuccina” per arrivare in corrispondenza del piazzale antistante all’ex ospedale cittadino e una diramazione che raggiunge il livello intermedio del complesso ipogeo del Pozzo di Neve. Dopo circa 4 m si incontra un altro pozzo di luce, un altro tratto rettilineo che conserva la canaletta di scorrimento delle acque e si arriva ad un cunicolo murato in corrispondenza dell’incrocio tra le vie Gramsci e Cavour. Il cunicolo continua con un tratto tortuoso fino ad una copertura a cappuccina in tegoloni di laterizio che poi diventa in lastre di tufo, prosegue un rettilineo fino ad uscire sulla fontana di piazza della Libertà. È visibile anche un cunicolo parallelo a questo, colmato dai detriti ma impossibile da ispezionare. La grande vasca della fontana ipogea di piazza della Libertà, a pianta quadrangolare con apertura a volta, è oggi accessibile mediante una scalinata ed è costituita da due colonnine marmoree che sorreggono una volta a crociera e inquadrano il fronte della fontana, costituito da un archetto su lesene all’interno del quale sgorga l’acqua. Un altro tratto compreso tra la fontana ipogea e l’attuale piazza del Popolo, secondo quanto riportato dall’ispezione eseguita per le opere di metanizzazione, si raccorda con la diramazione a nord-est della fontana ipogea sotto l’attuale palazzo comunale. Dalla fontana ipogea di piazza della Libertà un cunicolo scavato nel tufo portava acqua ad un complesso ipogeo. Oggi prosegue in direzione sud-est, si allarga per un breve tratto per poi tornare alle dimensioni originali (L. Valloni).
Ipogeo del Vascellaro
Situato nei pressi dell’omonimo arco e dei civici 7, 9, 13 e 15 di Via Gramsci, l’ipogeo si sviluppa lungo il cunicolo principale che attraversa il pianoro nella sua parte più stretta, procedendo da ovest verso est. Dopo circa 40 metri dall’ingresso, si accede a un vano rettangolare, costruito in una fase successiva rispetto alla rete idraulica originaria.
L’ambiente, di 6 x 3 metri (escludendo il cunicolo), con un’altezza di 2,8 metri, presenta elementi che suggeriscono un utilizzo artigianale, probabilmente legato alla produzione del vino. Per la sua realizzazione è stata demolita la parete destra del cunicolo principale, lambendo il lato sud della rupe. La copertura è a cielo piatto, sebbene la lavorazione della volta non sia particolarmente accurata.
Sulla parete ovest è presente una canaletta che convogliava acqua dal cunicolo, probabilmente verso una cisterna esterna, successivamente obliterata per lasciare spazio alle attività produttive. A 2 metri dalla parete ovest, un taglio nel pavimento tufaceo lascia supporre la presenza di ambienti sotterranei. Inoltre, sulla parete sinistra del cunicolo, a 3 metri dall’ingresso del vano, si apre una grande cisterna a volta in laterizi, oggi parzialmente interrata.
Un’altra caratteristica degna di nota è la grande nicchia a sesto acuto sulla parete sud dell’ipogeo, attribuibile a frequentazioni più recenti.
Il cunicolo verso il pozzo di Piazza Fratini
Il pozzo di Piazza Fratini è documentato da Leoncini nel 1416 in un atto notarile riguardante un’abitazione nei pressi della chiesa di Santa Lucia. Il Catasto Gregoriano del 1819 lo riporta ancora in funzione nel cortile retrostante il palazzo vescovile. Tuttavia, un’iscrizione sull’intonaco della cisterna, datata 1898, sembrerebbe indicarne il definitivo abbandono.
Il pozzo conduce a un vano ipogeo quadrangolare, utilizzato come cantina e privo di elementi architettonici di rilievo. Da qui parte una scala dotata di scivoli per le botti, che porta a un livello inferiore dove si incrocia una diramazione del cunicolo principale. A circa 30 metri sulla destra si sviluppa il cunicolo principale, mentre sulla sinistra un breve condotto porta a una cisterna.
Le pareti tufacee del cunicolo mostrano tracce di due cunicoli più antichi, intercettati e obliterati dallo scavo del passaggio attuale. Seguendo la diramazione che conduce alla grande cisterna sotto il chiostro, dopo circa 80 metri si incontra un divericolo con un cunicolo più stretto (0,70 m di larghezza), che procede verso nord. Il pavimento rialzato rispetto al cunicolo principale suggerisce una sua origine anteriore.
Laddove il cunicolo si allarga, si osservano due colonnine angolari, risparmiate dall’ampliamento, e una volta consolidata con cementizio. Sulla sinistra si apre una scala che conduce al chiostro di Piazza Fratini. Il cunicolo prosegue per altri 10 metri, intercettando un condotto più antico, parzialmente interrato a sinistra e percorribile per 12 metri a destra.
Al centro del chiostro medievale si trova l’imboccatura quadrata della cisterna, da cui venivano calati i secchi per l’approvvigionamento idrico. La configurazione attuale della struttura risale probabilmente al XVII-XVIII secolo, come indicano i graffiti sulle pareti.
Il pozzo di cocciopesto
L’accesso ai vani ipogei avviene da una diramazione laterale del cunicolo principale, senza una connessione diretta tra il condotto e il pozzo, uniti solo attraverso le cantine. Il sistema si sviluppa in direzione est-ovest, con l’accesso al pozzo rivolto verso la rocca.
L’ultima rampa di gradini, più ampia e rifinita con maggiore cura, introduce al “pozzo di cocciopesto”, un vano ipogeo circolare, costruito con grande perizia e utilizzato per un lungo periodo, almeno dal I secolo a.C.
In epoca medievale, accanto al pozzo originario a pianta quasi circolare con apertura rettangolare e rivestimento in lastre di tufo, fu scavata una seconda apertura, spostata verso nord-ovest. Quest’ultima, un pozzo “a tufelli”, non aveva più funzione di captazione idrica, ma venne probabilmente convertita in deposito per il grano.
Nonostante successive modifiche, nella parte superiore del vano si conservano tracce dell’originario ingobbio in argilla, utilizzato per impermeabilizzare le pareti, come riscontrato nel pozzo di Via Gramsci
Il Ninfeo rupestre
Il Ninfeo Rupestre, fiore all’occhiello del sottosuolo ortano, è un complesso ipogeo realizzato realizzato su iniziativa del monastero femminile di San Giorgio sul finire del XV secolo, rappresenta uno straordinario complesso di fattura rinascimentale. E’ distribuito su due livelli dove i giochi d’acqua emulavano le decorazioni delle necropoli etrusche e delle architetture corinzie ed erano erano alimentati dalle diramazioni dell’antico acquedotto cittadino, in particolare dal cunicolo che si innestava direttamente dalla Fontana di Piazza della Libertà (M. Roticiani).

Le colombaie rupestri e lo sfruttamento della neve
Lo sfruttamento della neve
Nel passato, i prodotti del bosco venivano utilizzati per creare attrezzi destinati a raccogliere, conservare e pressare la neve. La conservazione della neve e il commercio di ghiaccio sono stati significativamente influenzati dall’avvento della tecnologia, che ha introdotto la produzione industriale di ghiaccio artificiale, portando alla fine delle tradizionali pratiche legate alla neviera. Quest’evoluzione segna la fine di secoli di attività artigianale caratterizzata da grande ingegno e fatica.
Un esempio di queste tradizioni è il “Pozzo di Neve” di Via Manin, situato in un complesso sotterraneo appartenente agli antichi ospedali di Orte. Questo pozzo faceva parte di un sistema che veniva utilizzato per conservare e trasportare la neve, che doveva essere consegnata prima dell’alba. Per questo motivo, durante la notte, veniva trasportata verso la stazione ferroviaria di Agropoli, da dove grandi quantità di ghiaccio venivano inviate ad altre città, tra cui Napoli. La neviera di Genova, ad esempio, cessò l’attività nel 1870 dopo 230 anni di funzionamento, quando il comune non rinnovò più gli affitti e gli appalti.
Le neviere, specialmente nelle zone vulcaniche, erano strutture rustiche, scavate nel terreno, con un’unica apertura per il carico e il prelievo della neve. Queste strutture erano orientate a nord per limitare l’esposizione al sole e mantenere la neve al fresco. Il mercato della neve dipendeva da diversi fattori, tra cui le precipitazioni nevose e l’efficienza degli operai nel trasportarla e conservarla. A Roma, ad esempio, esistevano centinaia di neviere che rifornivano la città di ghiaccio.
Il processo di conservazione della neve nelle neviere prevedeva il trasporto di grandi palle di neve che venivano compattate all’interno della struttura. Tra uno strato e l’altro di neve veniva posto materiale isolante come paglia o fogliame, soprattutto di felce, per proteggere la neve dal contatto diretto con il suolo. La neviera veniva riempita fino al bordo superiore, dove lo strato di materiale isolante era più abbondante, per garantire una conservazione ottimale del ghiaccio (S. Irimia)
Le colombaie rupestri
In questo testo si parla di colombaie rupestri. Il termine “colombario” è la volgarizzazione del latino columbarius che indicava nell’epoca romana la nicchia funeraria con una o più urne cinerarie. Queste tombe venivano chiamate colombaie perché ricordavano l’organizzazione di un allevamento di colombe.
Le piccionaie rupestri di trovano nelle vicinanze del paese, sulla rupe ed era importante costruire piccionaie vicino ai corsi di fiume così da garantire un approvvigionamento idrico indipendente ai volatili.
Il complesso di Via Solferino
Nel complesso di via Solferino c’è un colombario etrusco. Ci sono tanti evidenti interventi strutturali delle epoche successive. Ci sono diversi ambienti che hanno servito ai diversi scopi (magazzini). Si evidenziano tre fasi di sviluppo della colombaia. La fase 1 - la cavità era composta dall’ambiente A e da un accesso esterno. Fase 2- viene scavato l’ambiente B. Fase 3- viene scavato l’ambiente C e il corridoio.
La colombaia di Via Pubblica Passeggiata
In via di Pubblica Passeggiata c’è un ambiente di difficile accesso, si sviluppa in tre fasi: fase 1- le pareti erano piene di nicchie, fase 2- il complesso si ingrandisce, fase 3- le operazioni moderne chiudono l’ingresso del cunicolo.
Il colombaio di Via San Gregorio e della Rocca
Si tratta di ipogei (spazi sotterranei) cioè colombaie. Ci sono stati due allevamenti separati (esistono due ingressi). I colombari 2 e 3 non sono accessibili, e nel colombaio 4 le nicchie sono uguali al colombario 1. Quindi tutti i colombai della Rocca dimostrano che la zona è stata poco abitata e poco frequentata.
Il complesso di Via Magenta
Si tratta di un articolato complesso ipogeo composto da cinque vani rettangolari di grandi dimensioni tutti comunicanti, disposti su un unico livello.
Ambiente A- si tratta di un ambiente rettangolare; probabilmente si tratta di due ambienti rettangolari originariamente indipendenti, divisi da una parete divisoria.
Ambiente B- posto ad est dell’ambiente presenta anche una pianta approssimativamente rettangolare.
Ambiente C- posto immediatamente ad est del vano B presenta una pianta articolata.
Ambiente D- l’ingresso originario era garantito da una scalinata esterna parzialmente conservata da cui si accede ad un ambiente realizzato durante i lavori sulla rupe. L’ambiente è cosparso da nicchie quadrate di piccole dimensioni.
Lo studio del complesso ha evidenziato uno sviluppo in 4 macro fasi: fase 1- realizzazione delle unità rettangolari; fase 2- frazionamento del vano A e realizzazione della colombaia; fase 3- accrescimento della colombaia; fase 4- scavo della scalinata che consente ancora oggi l’ingresso e relativa opera di contenimento.
Altri colombai
L’edilizia moderna ha cancellato numerose tracce di queste strutture. Però, può essere segnalata l'esistenza delle colombaie nell’area della Rocca. Sembra che sia stato un settore molto sfruttato nell’antichità. (L. Sellan)
Immagini



M. Marcelli, A. Napolitano, L’abitato di Orte: il sistema idrico ipogeo, in P. Aureli, M. A. De Lucia Brolli, S. Del Lungo (a cura di), Orte (Viterbo) e il suo territorio. Scavi Ricerche in Etruria Meridionale fra Antichità e Medioevo, BAR I.S., 2006, pp. 75-114.
G. Pastura (a cura di), La città sotto la città. Ricerche e analisi sulla parte sepolta dell’abitato di Orte, Quaderni del Museo Civico Archeologico di Orte, 1, Acquapendente, 2017