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Il Tevere e il Porto di Seripola

Aggiornamento: 10 giu


Il Tevere


Il Tevere (chiamato anticamente prima Albula, poi Thybris ed infine Tiberis[1]) è il principale fiume dell'Italia centrale e peninsulare; con 405 km di corso è il terzo fiume italiano per lunghezza (dopo il Po e l'Adige). Secondo solo al Po per ampiezza del bacino idrografico (17375 km²), con 324 /s di portata media annua alla foce è anche il terzo corso d'acqua nazionale (dopo il Po e il Ticino) per volume di trasporto. Inoltre è il primo fiume appenninico per lunghezza e portata. Bagna direttamente 4 regioni (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio), 8 province (Forlì-Cesena, Rimini, Arezzo, Perugia, Terni, Viterbo, Rieti e Roma) ed 82 comuni della Valle del Tevere, tra cui Perugia e Roma.


L'antico idronimo del fiume era Albula, per la tradizione in riferimento al colore chiaro delle sue acque. Un altro antico nome del Tevere è stato Rumon, di origine etrusca, da molti collegato al nome di Roma.


Il nome attuale deriverebbe secondo la tradizione dal re latino Tiberino Silvio, che vi sarebbe annegato. Secondo Virgilio], invece, già gli Etruschi lo chiamavano Thybris.


Il Tevere alle porte di Perugia


La sorgente del fiume Tevere si trova sulle pendici del Monte Fumaiolo a 1268 m s.l.m. Fu Mussolini che nel 1923 fece spostare i confini regionali, includendo il monte Fumaiolo e la cosiddetta Romagna Toscana nella regione a est dell'Appennino: ciò per assecondare il suo desiderio che le sorgenti del Tevere si trovassero nel Forlivese, sua provincia di origine. Accanto alla sorgente nel 1934 è stata posta una colonna di travertino, dove appaiono tre teste di lupo e sovrastata da un'aquila rivolta verso Roma (simbolo imperiale riutilizzato in epoca fascista), con incisa la frase retorica Qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma.


Il bacino del Tevere è ricco di affluenti e subaffluenti, ma il fiume riceve la maggior parte delle sue acque dalla riva sinistra, dove ha come adduttori principali il sistema Chiascio - Topino, il Nera (che raccoglie le acque del Velino) e l'Aniene, Gli affluenti maggiori del Tevere sono un totale di 29 tra fiumi e torrenti. Le principali località attraversate sono Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Città di Castello, Umbertide, Orte e Roma. Passa anche nelle immediate vicinanze di Perugia, Marsciano, Deruta e Todi. Il fiume fu utilizzato per molti secoli come via di comunicazione: in epoca romana il naviglio mercantile poteva risalire direttamente fino a Roma, all'Emporio che era situato ai piedi dell'Aventino, mentre barche più piccole e adatte alla navigazione fluviale trasportavano merci e prodotti agricoli dall'Umbria, attraverso un sistema navigabile capillare che penetrava nella regione anche attraverso gli affluenti, in particolare Chiascio e Topino.


L'antichità: leggende e usi del Tevere


Il Tevere, fin dalla sua nascita, è stato l'anima di Roma, e il fatto che la città gli debba la propria stessa esistenza è descritto già dalla prima scena della leggenda di fondazione, con Romolo e Remo nella cesta che, arenati sotto il ficus ruminalis, succhiano il colare zuccherino dei frutti in attesa di una vera poppata.[11]


Tutti gli insediamenti preromani il cui convergere diede luogo alla Roma storica "vedevano" il Tevere, ma dall'alto e non da vicino (si pensi ad Antemnae, ad esempio), per evidenti ragioni di difesa e perché il Tevere è sempre stato un fiume soggetto a piene improvvise. Il punto in cui la pianura alluvionale era più sicuramente guadabile era l'Isola Tiberina, accanto alla quale (in quella zona che sarebbe poi divenuta il Foro romano a partire da un più modesto Foro boario) si localizzò in origine il punto di scambio tra le popolazioni etrusche che dominavano la riva destra (detta poi Ripa Veientana) e i villaggi del Latium vetus sulla riva sinistra (la Ripa Greca).


L'Isola era, inoltre, il punto fin dove le navi antiche, di basso pescaggio, potevano risalire direttamente dal mare. Poco a valle dell'Isola fu costruito (in legno, e tale rimase per diversi secoli) il primo ponte di Roma, il Pons Sublicius. Per le popolazioni arcaiche erano così importanti, questo ponte e la sua manutenzione, che in relazione a essi nacque il più antico e potente sacerdozio romano: il Pontifex.


Il fiume stesso era considerato una divinità, personificata nel Pater Tiberinus: la sua festa annuale (le Tiberinalia) veniva celebrata l'8 dicembre, anniversario della fondazione del tempio del dio sull'Isola Tiberina ed era un rito di purificazione e propiziatorio. Secondo Virgilio, durante la guerra fra troiani e italici Enea decapitò il giovane nemico Tarquito facendone poi rotolare testa e busto nella foce del Tevere.


Progredendo l'interramento del fiume, le navi non poterono più arrivare come in epoca classica fino all'emporio (sotto l'attuale rione di Testaccio), ma merci e passeggeri continuavano a giungere a Roma via fiume, col metodo dell'alaggio, cioè su chiatte o barconi che venivano rimorchiati dalla riva: la forza motrice per risalire il Tevere, che nei periodi di magra non offriva più di due metri e mezzo di pescaggio, era generalmente costituita da buoi ma anche, al bisogno, da uomini. Il sistema era ancora in uso a metà dell'Ottocento, quando i buoi vennero sostituiti da rimorchiatori a vapore, che trascinavano tre o quattro chiatte, come avveniva sulla Senna fino a non molti anni fa.


Il porto dell'Emporium era stato abbandonato già in epoca medioevale, e il nuovo attracco si consolidò sulla riva destra (che era detta "Ripa Romea": era in effetti molto più comodo, per i pellegrini, sbarcare sulla riva dove era posto il Vaticano). Questo approdo era detto, per antonomasia, Ripa. Modificando il percorso delle mura a porta Portese, il porto venne ricostruito nel 1642 un po' più a monte, all'interno della cinta daziaria, in corrispondenza dell'ospizio di San Michele, e divenne il porto di Ripa Grande, dedicato a merci e uomini in arrivo da Ostia. Sulla riva sinistra, a monte di Castel Sant'Angelo, venne costruito nel 1704 il porto di Ripetta, dedicato soprattutto al traffico con il retroterra umbro. Ebbe sede qui l'idrometro storico del Tevere, installato nel 1821, e che aveva come zero idrometrico il settimo gradino della scalinata del porto stesso.


Più a valle sulla riva destra, poco più giù di porta Santo Spirito c'era un altro porto. Era detto "porto dei travertini" perché era stato utilizzato per i marmi destinati alla costruzione della basilica di San Pietro. Fu poi fatto ricostruire all'inizio dell'Ottocento (1827) da Leone XII, come porto di servizio della città Leonina e da lui prese il nome. Il porto fu dotato in quell'occasione anche di una fontana che utilizzava il condotto dell'acqua lancisiana che era stato riattivato sotto Pio VII; il mascherone che l'adornava è quello che arricchisce oggi la fontana fuori dal giardino degli Aranci. Un secolo dopo, la costruzione dei muraglioni e l'abbandono del trasporto fluviale lo obliterarono completamente. Ne rimane la traccia nella doppia scala che scende alla banchina da piazza della Rovere, e nella lapide a memoria dei lavori, che è stata conservata.


Sul Tevere navigavano imbarcazioni di tutti i tipi (anche a vela: per discendere il fiume da Orte ci volevano tre giorni). Oltre alle chiatte trainate da rimorchiatori, alle barchette dei pescatori, c'erano anche piccole barche per trasbordare le persone da una riva all'altra: non si dimentichi che fino alla caduta dello Stato Pontificio i ponti cittadini sul Tevere erano soltanto cinque: ponte Mollo, ponte di Castello, ponte Sisto e i due ponti attraverso l'isola Tiberina, ponte Cestio e il ponte dei Quattro Capi.


Lo sviluppo del trasporto stradale e ferroviario, la costruzione nel tempo di ben 23 dighe di sbarramento lungo l'intero bacino e il progressivo interramento del basso corso del fiume hanno completamente annullato questo utilizzo (durato fin verso la metà dell'Ottocento), e ormai la navigazione fluviale si limita a fini sportivi (canottaggio) e turistici, con battelli che dalla fine degli anni novanta percorrono tratti del corso romano del fiume.A causa delle soglie costruite all'altezza dell'Isola Tiberina per regolare e armonizzare il flusso del fiume, la navigazione sul fiume è divisa in due tratte, una verso monte, dall'isola a ponte Risorgimento, l'altra verso il mare, da ponte Marconi a Ostia Antica. Va tenuto presente, quando si riflette sull'uso del Tevere, che attualmente sono 36 i soggetti pubblici che hanno titolo a intervenire sul Tevere: il numero rende evidenti, da solo, le difficoltà che presenta ogni nuovo progetto d'uso o di intervento.


Un'altra presenza sul fiume, che datava dal Medioevo e della quale ora non c'è più traccia, erano i molini ad acqua (a Roma detti "mole", anche nel linguaggio ufficiale della burocrazia annonaria), ancorati in gran parte vicino all'Isola Tiberina.


La storia delle mole a Tevere iniziò quando Vitige, tagliando durante l'assedio del 537 l'acquedotto Traiano che forniva energia ai mulini installati sul Gianicolo, costrinse Belisario a cercare una nuova soluzione per l'approvvigionamento di farina dei romani assediati. La soluzione trovata fu quella di installare coppie di barche incatenate: ogni coppia era dotata, al centro, di una ruota che azionava le macine di pietra alloggiate sulle barche stesse. La prima coppia era incatenata alle rive del fiume presso il Ponte di Agrippa (l'attuale Ponte Sisto), le altre erano collegate alla prima. A monte di questo sistema di molini galleggianti furono installate palafitte di riparo, allo scopo di deviare i tronchi con i quali i Goti cercavano di travolgerlo.


Nei secoli successivi si continua ad avere notizie dei molini sul Tevere - anche se non se ne hanno rappresentazioni sulle mappe fino alla fine del Quattrocento - che appaiono però dislocati più a valle, verso l'Isola Tiberina.


I muraglioni di contenimento dei Lungotevere, rendono oggi difficile immaginare quanto "fluviale" potesse essere la città antica e quanto lo fosse ancora un secolo fa. Ma questa connessione con il fiume, che certo era una risorsa economica notevole, era anche - da sempre - ad alto rischio. Già Livio attesta che le piene del Tevere, spesso disastrose (come quelle del 215 a.C), erano ritenute dal popolo romano annunciatrici di eventi importanti o punizione degli dei irati, e certo comportavano - oltre che distruzioni - epidemie causate dal ristagno delle acque.


Le grandi piene (mediamente almeno 3 o 4 per secolo) sono sempre arrivate a Roma dalla via Flaminia: a valle dell'ultima confluenza con l'Aniene il fiume, libero fin lì di distendersi su territori pianeggianti e praticamente golenali, incontrava costruzioni e ponti che lo ostacolavano (ripetutamente il Pons Sublicius era stato trascinato via dalle alluvioni) e si incanalava rovinoso per vie e piazze.


Cesare immaginò di raddrizzare i meandri urbani del fiume deviandolo attorno al Gianicolo (cioè facendogli evitare Trastevere e la pianura dei Fori) e canalizzandolo attraverso le Paludi Pontine in direzione del Circeo. Augusto, di temperamento più realista e "amministrativo", dopo aver nominato una commissione di 700 esperti si limitò a disporre la pulizia dell'alveo fluviale e a istituire una magistratura apposita, i Curatores alvei et riparum Tiberis, carica che Agrippa tenne per tutta la vita. Gli esperti di Tiberio suggerirono di deviare le acque del Chiani verso l'Arno, ma per l'opposizione dei fiorentini non se ne fece nulla (il progetto fu riesumato - e ugualmente abbandonato - nel 1870). A Traiano si deve il completamento del canale di Fiumicino (la cosiddetta Fossa Traiana) iniziato da Claudio, funzionale alla navigabilità del fiume, ma anche a migliorare il deflusso delle acque verso il mare. L'ultimo imperatore che dispose una pulizia radicale dell'alveo e un'arginatura del fiume fu Aureliano.


Incessantemente Roma nei secoli venne allagata dalle piene del Tevere, un vero flagello per l'Urbe. Ancora sui vecchi muri del centro storico vi sono lapidi che ricordano il livello delle acque raggiunto da quelle alluvioni (vedi la foto sopra). L'ultima grande alluvione avvenne nel dicembre 1937 allorché il governo fascista decise di ampliare notevolmente il progetto già in attuazione dal 1936 da parte del Ministero dei Lavori Pubblici e quello dell'Aeronautica, ora con i cantieri allagati. Questo progetto prevedeva, tra l'altro, di accorciare il corso del Tevere per aumentare il deflusso delle acque verso il mare. Ciò era possibile tagliando un'ansa del fiume di circa 8 km che si trovava in località Spinaceto, a valle di Roma, realizzando il drizzagno del Tevere. I lavori ripartirono su vasta scala dal 1938, scavando un nuovo alveo rettilineo di oltre 1 km di lunghezza insieme a colossali lavori di sbancamento che portarono i nuovi argini del Tevere a ben 400 metri di larghezza, creando un alveo capace di contenere anche le piene più copiose. Il 12 agosto del 1940 l'allora capo del governo Mussolini inaugurò il drizzagno facendo esplodere gli ultimi diaframmi e deviando le acque nel nuovo alveo artificiale. Già dall'inverno del 1940 questo invaso, assieme al nuovo drizzagno, scongiurò il pericolo di altre grandi alluvioni, alluvioni che da allora a Roma non si verificarono più per straripamento del Tevere.


Le osservazioni sulla portata del Tevere a Roma, iniziate nel 1782 per iniziativa dell'abate Giuseppe Calandrelli, direttore dell'Osservatorio astronomico e meteorologico di Collegio Romano, costituiscono ad oggi la serie storica più rilevante tra le osservazioni sistematiche dei fiumi italiani.


La spinta definitiva a riprendere l'elaborazione di un sistema di difesa della città dalle furie del suo fiume venne certamente dalla disastrosa alluvione del 28 dicembre 1870. L'inondazione arrivò, quella volta, a più di 17 metri oltre il livello normale del fiume (praticamente fino a piazza di Spagna). Il 1º gennaio 1871 fu nominata un'apposita Commissione di studio che in quattro anni non produsse risultati. Nel 1875 Garibaldi, arrivato a Roma come parlamentare, risuscitò l'idea di Cesare di deviare il corso del fiume presentando una proposta in merito. L'ipotesi suscitò gran dibattito, apparendo ad alcuni quasi blasfema, ma facendo balenare ad altri il sogno di ritrovamenti di smisurati tesori, archeologici o propriamente preziosi, inabissati nel fiume lungo i secoli.


Alla fine del 1876 il Governo assegnava l'appalto del primo lotto dei lavori, che durarono 25 anni. Il Porto di Ripetta non fu mai ricostruito, ma una nuova piena disastrosa del fiume nel 1900, che superò i 16 metri, mostrò che il contenimento fornito dai muraglioni funzionava (anche se alla fine crollarono 125 metri di argine tra Ponte Garibaldi e Ponte Cestio). L'ultimo tratto dell'opera, sotto l'Aventino, fu completato nel 1926, a cinquant'anni dall'inizio.


Salvata dalle esondazioni e bonificata dall'umidità che ristagnava nelle fondazioni dei rioni cresciuti lungo il Tevere, la città perse tuttavia il contatto con il suo fiume. Le demolizioni che furono effettuate per far spazio all'arginatura, e la standardizzazione dell'altezza delle rive fecero sì che alcune delle strade storiche che corrono a lato del fiume restassero al di sotto del livello dei Lungotevere (è sufficiente, per rendersene conto, una passeggiata in Via Giulia), e che andasse in parte smarrito il senso delle situazioni urbanistiche e architettoniche di molti edifici, anche importanti, che erano stati costruiti sulle rive, dotati di giardini e approdi sul fiume - si pensi ad esempio, a Palazzo Falconieri, o alla Villa Farnesina alla Lungara.


Con i muraglioni e l'inquinamento urbano scomparvero anche - un po' più lentamente ma irrevocabilmente - figure legate al fiume, come i barcaioli o i fiumaroli, e le loro attività commerciali ed artigiane.


San Cesareo diacono e martire, condannato a essere annegato nel mare di Terracina, è da sempre invocato contro le inondazioni del Tevere; infatti la Chiesa di San Cesareo de Arenula a Roma era situata proprio nei pressi del fiume, nel rione Regola, edificata presso "l'Onda" in riferimento alle innumerevoli inondazioni del Tevere che interessarono in passato la zona. Inoltre, la Chiesa di San Salvatore in Onda originariamente era dedicata al Salvatore e a San Cesareo diacono, ma siccome a quest'ultimo era intitolata anche la Chiesa di San Cesareo de Arenula, situata nello stesso rione, vi fu la riduzione a una sola intitolazione]. Il diacono Cesareo è invocato anche contro gli annegamenti, alludendo alla modalità di esecuzione del suo martirio.


Il Porto di Seripola


Nel 1962, durante i lavori per la costruzione dell’autostrada del Sole, sulla riva sinistra del Tevere, subito a S della confluenza del Fosso di Seripola, si rinvennero i resti di un approdo su tre livelli, che non fu immediatamente oggetto di scavi sistematici; le prime strutture messe in luce in corrispondenza della sponda furono interpretate come banchine di attracco. 



Soglia in mosaico nel Porto fluviale di Seripola
Soglia in mosaico nel Porto fluviale di Seripola

Sulla riva destra che dà verso l’Etruria, non si rinvennero dei ruderi, ma il terreno recava tracce di costruzioni anche in questo sito. Su ambedue le rive venne scoperto un grande numero di cocci, databili – i  più antichi -  a circa 200 a.C. ed all’impero.

Nell’area pianeggiante delimitata ad O dal Tevere e a N dal fosso menzionato, dal 1974 al 1977 e nel 1979 furono condotte campagne di scavo, che hanno messo in luce parte di “un insediamento a carattere commerciale ed abitativo annesso alle strutture portuali”. “Negli anni 1984, 1988 e 1993, inoltre, furono eseguiti ulteriori limitati interventi, funzionali al restauro e consolidamento delle strutture individuate”. 

Il complesso scavato è diviso in quattro settori da due assi stradali che si intersecano quasi al centro, uno con orientamento E-O (A) ed uno con orientamento N-S (B). Nel punto di incrocio delle due strade, rimane una porzione della pavimentazione in lastroni di travertino che si sovrappongono in parte ad un tracciato basolato. Il settore I, il più vicino alla banchina di attracco è costituito da vani che si sviluppavano su due livelli, quello inferiore utilizzato probabilmente per scopi commerciali e quello superiore, raggiungibile attraverso scale di pietra o di mattoni, per scopi abitativi. Essi sorgono su ambulacri che possono aver avuto sia la funzione di rialzare la quota del piano di frequentazione mettendola al sicuro dalle piene del Tevere sia quella di stoccaggio delle merci. Il complesso delle taberne e dei magazzini doveva proseguire verso S con una serie di ambienti solo parzialmente scavati nel 1962.      

  Il settore II, a NO, corrisponde ad un’area grossomodo triangolare occupata da una corte interna su cui si aprono alcuni vani che avevano “una destinazione utilitaristica e commerciale come evidenzia il rinvenimento di una macina per il grano nell’ambiente S e di un mortaio nel vano T, nonché di pesi in basalto e marmo, abitualmente funzionali alla vendità di materiali di pregio, nei vani G ed U. Nella corte si è rinvenuta un’ara votiva in calcare, dedicata a Mercurio, da C. Spurilius Fortunatus, seviro augustale di Ameria, che dichiara di averla collocata in una sua proprietà (in suo posuit). Di questo settore dovevano far parte anche ambienti a carattere residenziale come documenta il rinvenimento di resti di mosaico a tessere nere e bianche; intonaci con motivi floreali in rosso e nero, crustae marmoree. In corrispondenza del complesso descritto sul tracciato A si è rinvenuto un cippo con indicazione di un iter privatum.


Strutture del Porto fluviale di Seripola
Strutture del Porto fluviale di Seripola


Sul lato occidentale del III settore, si collocano una serie di taberne, simili a quelle che si aprono sul lato opposto del percorso B; lungo la strada A si conservano resti di costruzioni in opera quadrata di tufo all’altezza delle quali, alcuni saggi compiuti sulla strada hanno messo in luce strati di II-I sec. a.C., riferibili alle prime fasi di occupazione dell’insediamento. In età traianea, come attestano i bolli laterizi, alcuni vani di questo settore sono stati adattati ad impianto termale. Questo è costituito essenzialmente da due ambienti pavimentati in mosaico bianco e nero: uno (Z1) è identificabile con un calidarium come suggerisce la presenza dell’ipocausto e di tubuli a sezione quadrangolare inseriti nelle pareti; l’altro corrisponde ad un tepidarium sebbene assolvesse probabilmente più esigenze: alla parete di fondo si attesta un setto murario che lo divide in parte in due settori; nella parete meridionale si osserva un emiciclo al cui interno è un basamento circolare in muratura sopra al quale si è rinvenuto un labrum di marmo in cui confluiva l’acqua per le aspersioni incanalata nella parete dell’abside. Nella parete meridionale del vano, ad E dell’emiciclo si osservano tre nicchie semicircolari, l’impronta di altre sette si conserva ne lato settentrionale; sulla base del confronto con analoghi apprestamenti è ipotizzabile che il vano fosse utilizzato anche come spogliatoio. Ad E delle terme si collocavano inizialmente due cisterne, A1 ed A, nella prima delle quali, agli inizi del III sec. d.C., venne impiantato un forno per la panificazione che, stando alle dimensioni, doveva avere una utilizzazione commerciale o per scopi comunitari. “É certo che nel momento in cui venne costruito il forno, le terme o almeno il settore orientale ad esso contiguo, cessarono di funzionare come tali. Il muro che separa l’ambiente C dall’impianto produttivo, infatti, è interrotto … per dare accesso alla nuova struttura e consentire le operazioni di carico e di scarico”. 

                  



Ambienti termali nel Porto fluviale di Seripola
Ambienti termali nel Porto fluviale di Seripola


      

  Il IV settore, scavato solo in parte nel 1979, è costituito da alcuni ambienti a pianta rettangolare, con partizioni interne, che si sviluppano in senso E-O; quello centrale (B) “era preceduto probabilmente da un porticato di cui rimangono i plinti”.


Le testimonianze più antiche finora messe in luce nell’area di Seripola, sono costituite da frr. di bucchero, inquadrabili tra il VI ed il IV sec. a.C., rinvenuti in una trincea eseguita all’interno dell’ambiente D del settore III. Tali materiali sono considerati indizio di frequentazioni messe in relazione con la navigabilità del Tevere. 


L’abbandono dell’insediamento viene collocato nel V sec. d.C. ma alcuni dei materiali sopra elencati e considerazioni di carattere storico inducono ad ipotizzare che nel VI sec. d.C. il porto fosse ancora in funzione. Le testimonianze materiali più tarde sono rappresentate da pochi frr. di ceramica longobarda, considerati indizio di frequentazioni sporadiche.


Bibliografia

M.A. De Lucia Brolli, L. Suaria, Il territorio: il porto fluviale di Seripola, in P. Aureli, M. A. De Lucia Brolli, S. Del Lungo (a cura di), Orte (Viterbo) e il suo territorio. Scavi Ricerche in Etruria Meridionale fra Antichità e Medioevo, BAR I.S., 2006, pp. 135-170.


Sitografia




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